e’ peggiorata ultimamente, con poche speranze di tregua a breve termine. Dall’essere un’irritazione apparentemente lieve, quando si sentirono i mormorii in Cina per la prima volta nel dicembre 2020, è diventata una crisi in piena regola di cui se ne parla ogni giorno di più. Come se non bastasse, la nuova ondata di COVID-19 ci ha messo il suo, mettendo le cose ancora più a nudo.
All’inizio la spiegazione comune era che la decimazione della domanda di veicoli causata dalla pandemia ha spostato i fornitori verso settori e prodotti in cui la domanda a breve termine era sicura. Ma poi, quando la domanda di auto è rimbalzata, i forti vincoli di offerta e l’inerzia della capacità negli impianti di produzione automotive hanno portato ad un allungamento dei tempi di consegna dei chip tra i sei e i nove mesi. Tuttavia, dopo nove mesi dall’inizio del problema, niente sembra essere stato risolto.
Un nuovo picco nei tassi di infezione da COVID-19 in Asia ha portato blocchi locali e carenza di manodopera, e ciò ha influenzato la produzione negli impianti di chip in Malesia e Thailandia. Questa crisi sta avendo effetti profondi: l’inventario dei veicoli nuovi è fortemente ridotto, il che a sua volta ha avuto ramificazioni per quanto riguarda le vendite. Negli Stati Uniti ad esempio, le vendite di veicoli ad agosto 2021 sono diminuite del 17,3% nonostante la forte domanda. Un quadro simile è stato dipinto altrove: le vendite nel Regno Unito, ad esempio, sono diminuite del 16,8% nello stesso periodo di tempo.
GlobalData ha tenuto traccia delle dichiarazioni pubbliche fatte dalle aziende, in merito allo stop dei macchinari dovuto alla carenza di chip, e pertanto è possibile quantificare la crisi. Ma ciò che lo stop agli impianti non rivela è la misura in cui la produttività viene gestita dalle aziende per mantenere le fabbriche in funzione a un certo ritmo.
Dopo un’attenuazione all’inizio del mese di agosto e una sensazione di ripresa, le ultime tre settimane del mese hanno visto la crisi raggiungere nuove vette. In particolare, la prima settimana di settembre 2021, con 35,3 settimane di produzione perse in tutto il mondo, aveva segnato un nuovo picco, ma con l’interruzione della produzione di chip in Asia, la settimana successiva ha visto ben 62 settimane di produzione perdute. Un picco che ha dell’incredibile quindi, ed anzichè attenuarsi, la crisi dei chip è più viva che mai.
E per quanto riguarda le perdite? Secondo CNBC, ci si aspetta che nel 2021, con quasi 4 milioni in meno di chip prodotti, la crisi comporti una perdita superiore ai 200 miliardi di dollari.
Possiamo aspettarci altre crisi in futuro?
È probabile che le interruzioni nella catena di approvvigionamento dei semiconduttori diventino sempre più frequenti, più pronunciate e meno prevedibili a causa del cambiamento climatico, della crescente incertezza politica e di altri fattori. Ad esempio, le forti tempeste tropicali stanno diventando sempre più comuni in Asia, le interruzioni delle spedizioni hanno provocato ritardi nei trasporti e il crescente protezionismo ha avuto un impatto sull’accesso al mercato.
È chiaro che tali interruzioni rappresentano un rischio sistemico per la catena di approvvigionamento globale. Di conseguenza, le aziende automobilistiche, i fornitori e le società di elettronica devono proteggere le loro catene di approvvigionamento, mitigare il deterioramento del loro potere negoziale e proteggersi da futuri problemi.
La crisi non finirà da sola. Le aziende automobilistiche devono eseguire simultaneamente una serie di azioni proattive per tornare ai livelli di produzione pre-crisi, come siglare contratti di fornitura diretta a lungo termine con società di semiconduttori, con impegni di capacità reciproci per diversi anni.